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ABOUT MASSIMO

Massimo Faccini, chirurgo e pittore per scelta e per vocazione, da anni si interessa al colore, al segno, al gesto come processo anatomico del vedere: vivisezione dell’immagine che si rivela tramite una pittura apparentemente istintiva, ma in realtà strutturata in griglie compositive, come suture tra figurazione e astrazione.

“Il disegno è stato la mia prima modalità di espressione”

La pittura è diventata una necessità istintiva, un moto liberatorio della psiche, quasi un urlo di riappropriazione di uno spazio emozionale in cui coesistono elementi ricorrenti – il tasso o il cavallo – inserirli in opere più narrative, come risulta evidente nei dipinti intitolati Adrasto e Arione e Meles – Meles (Il Giardino) del 2021.

In questa oscillazione, nell’esplorazione tra narrazione, espressionismo e astrattismo, la sua pittura si fa atto conoscitivo, inclusivo della zona dipinta e di quella non dipinta, in cui il rapporto tra ideazione e manualità non è il fine, ma il mezzo per mettere in luce modi e mondi soggettivi dove si attua la convergenza tra pensare e fare pittura, che si manifesta attraverso la verifica del lavoro in costante tensione con l’atto vitale del dipingere.

Il segreto sta nel suo gesto, nel modo in cui il pennello intriso di colore ad olio traccia spazi sulla tela di iuta o di lino per svelare le diverse relazioni tra struttura e pigmento nel il suo articolarsi sulla superfice. Per comprendere il suo esercizio pittorico che diviene opera-azione percettiva e sensoriale, basta osservare come i lavori accuratamente selezionati ed esposti nella galleria di ricerca milanese Amy-D Arte Spazio di Anna d’Ambrosio, seguano un ordine non cronologico, bensì formale-cromatico e materico, suddiviso in tre sezioni da vedere e non da raccontare.

Sono pennellate dense e dinamiche le sue, che passano repentinamente dalla superficie alla profondità, fino a cogliere le mutazioni interne del colore, in una concatenazione di gesti impulsivi e controllati insieme, attraverso l’immagine tesa a mettere in luce complessità gnoseologiche. Per Faccini, la pittura è il risultato di una disciplina o una diagnosi emozionale del dipingere; è un modo totale di ripensare il colore come fondamento dell’essere. Le opere esposte rappresentano una maturazione della ricerca artistica volta a svelare un equilibrio dispotico tra pittura, gesto, forma e struttura del vedere come sorgente di molteplici relazioni con l’esperienza emotiva del colore.

Basta una rapida occhiata a Figura zoomorfa, Metamorfosi, Post Markus e Lezione di piano, dipinte nel 2021, per cogliere qualcosa di perturbante nella sua pennellata apparentemente(!) fuori controllo, aggressiva, netta e profonda, incisiva come una lama e capace di prelevare elementi primari del colore che si fa gesto del vedere nel profondo di un inconoscibile: quasi medium della percezione sul crinale delle emozioni.

Questa sua mostra personale scaturisce da un confronto dialettico e dallo scambio di idee sulla pittura con Anna d’Ambrosio intorno all’impulsività, alla sensibilità materiale e al rapporto luce – colore, arte e terapia: aspetti convergenti in composizioni controllate.

Per Faccini la pittura, come il corpo, è un organismo vivente in cui il colore è il sangue della percezione che si fa visione, mentre il gesto è automatismo psichico, nonché diagnosi di un’urgenza espressiva interiore che diventa ragione di esistere e si manifesta quasi come sistema autonomo e indipendente.

E’ una pittura che si muove nel tempo e nello spazio la sua, dentro e fuori la tela, strutturando un linguaggio oggettivo che evoca processi emozionali non oggettivi. Il suo gesto si contiene e insieme si libera da vincoli compositivi per affermare la supremazia del colore caratterizzato dalla sua pennellata che sembra aggredire il nostro sguardo, come uno strumento di conoscenza di inedite esplorazioni di spazi emozionali invisibili.

Press